venerdì 27 marzo 2020

STEP 2 -Storia del concetto di "Fatica"

L'etimologia della parola lavoro è da ricondursi al latino labor = fatica. Se andiamo ancora più indietro nella ricerca delle origini del termine lavoro, arriviamo alla radice sanscrita labh- (a sua volta dalla più antica radice rabh-) che, in senso letterale, significa afferrare, mentre, in senso figurato, vuol dire orientare la volontà, il desiderio, l'intento, oppure intraprendere, ottenere...  In greco antico anche il verbo λαμβάνω (lambano) che esprime l'idea di afferrare, prendere, ottenere sembra potersi ricondurre alla stessa radice sanscrita di cui sopra. Da ciò, possiamo concludere che il lavoro è un'attività faticosa volta ad ottenere i risultati che il lavoratore si prefigge di raggiungere.

Ne esprime perfettamente questo concetto la lingua francese, attraverso il verbo "travailler" cioè lavorare.
 Il verbo travailler, nel senso quindi di eseguire un’opera, appare all’inizio del xvi secolo, ma bisogna attendere la fine del xvii per vedere infine apparire travailleur. Nel xii secolo, insieme a labeur era apparso ouvrier, dal latino operaius “uomo di pena”, che rinvia esso stesso a due parole: opus “opera” e operae, gli “impegni”, le “obbligazioni” che devono essere assolti sia dall’affrancato verso l’antico padrone, sia di fronte a un cliente nel caso di un contratto d’affari tra uomini liberi (locatio operis faciendi). Ma la storia del termine francese travail è interessante perché esso era apparso molto prima, a partire dall’xi secolo, per designare uno strumento di tortura, il tripalium “composto di tre pali”. Travailler significava quindi torturare un recalcitrante per mezzo del tripalium e il travailleur non era la vittima, ma il boia. Travail indicava pure un dispositivo composto di parecchie travi al quale si legavano i cavalli o i buoi per ferrarli (così trabajo in spagnolo significava “mettere al mondo”, “essere partorienti”).

Nel corso della storia studiosi e filosofi si sono adoperati per dare un significato al concetto di fatica, trovando dei risultati anche discordanti tra loro.

Citando Aristotele:"Si ama di più quello che si è conquistato con fatica". Non vi è nulla di faticoso in ciò che otteniamo dal giorno alla notte. La forza di saper aspettare, cogliere il frutto quando è il momento giusto; è questa la fatica di cui parla Aristotele.

Per Nietzsche l'affaticarsi nel lavoro ha come conseguenza la ricerca di uno svago qualsiasi e di piaceri semplici e rozzi, si perde la capacità di dedicarsi alla contemplazione e la gioia di vivere, mortificando l'autoaffermazione dell'individuo.

In conclusione vi lascio un frammento della poesia "Fumatori di carta" di Cesare Pavese, poeta torinese, mentre descrive la sua amatà città:

"...Imparò a lavorare nelle fabbriche senza un sorriso.
Imparò a misurare  sulla propria fatica la fame degli altri,
e trovò dappertutto ingiustizie. Tentò darsi pace
camminando, assonnato, le vie interminabili
nella notte, ma vide soltanto a migliaia i lampioni
lucidissimi, su iniquità: donne rauche, ubriachi,
traballanti fantocci sperduti. Era giunto a Torino
un inverno, tra lampi di fabbriche e scorie di fumo;
e sapeva cos'era lavoro. Accettava il lavoro
come un duro destino dell'uomo..."


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